Attraverso le pagine del diario, Bernardini ripercorre e racconta l’esperienza del suo insegnamento presso una classe terza della scuola elementare di Pietralata, uno dei quartieri più poveri della periferia romana dell’epoca (1960-1961). Parte del racconto è incentrato sulla critica contro la scuola tradizionale: basata sul metodo autoritario e il fine nozionistico, essa produce nei contesti più agiati alunni caratterizzati dal «sordo conformismo e l’esasperato individualismo» (p. 150); in periferia, dove gli alunni sono più immersi nelle vicissitudini della vita, i principali effetti sono la dispersione scolastica e la rottura tra istituzione e territorio. Un anno a Pietralata è però anche il racconto della ricerca di un metodo alternativo d’insegnamento, che secondo Bernardini deve prendere le mosse dalla conoscenza della vita extrascolastica degli alunni e del territorio in cui la scuola opera. Il fine è di condurre gli studenti verso una visione cooperativa e libera del lavoro scolastico, verso un «desiderio sfrenato di fare» (p. 149). Chiude il diario il ritorno di Bernardini nella scuola di Pietralata dopo due anni di servizio presso un'altra sede scolastica. Nel breve resoconto (pp. 147-150), Bernardini non nasconde il grande dispiacere di ritrovare ancora nella scuola elementare molti alunni della sua vecchia classe, i quali, a causa della riproposizione dei vecchi metodi d’insegnamento da parte dei maestri che lo hanno sostituito, sono tornati a vivere un rapporto di incomunicabilità con la scuola: «Sor maé, con lei si stava bene. Si poteva parlare. […] Con questo maestro calabrese, invece, non si può parlare. Parla sempre lui» (p. 148).
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Roma TrE-Press - In collaborazione con il Museo della Scuola e dell’Educazione “Mauro Laeng” (MuSEd)
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2785-4485
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