Frutto dell’amicizia e della collaborazione tra Alessandro Marenco e Davide Montino, questo cortometraggio accompagna lo spettatore in un viaggio i tra luoghi, le voci e i materiali della scuola elementare de “Le Rotte” e le memorie di scuole rurali limitrofe nell’Italia fascista.
Le interviste a Teresa, Onorina ed Enrica Scarrone, ex alunne, sono intervallate da letture tratte da registri di classe degli anni 1928-1939.
La scuola de “Le Rotte”, frazione popolata fino agli anni ’50 nel comune di Dego sull’Appennino savonese, costruita grazie agli incentivi all’edilizia scolastica previsti dal R.D. 31 dicembre 1923, è una “bella e moderna scuola” in un luogo “selvaggio e disabitato”, con “un’aula e una stanza per la maestra” che doveva abitare nella scuola, “muri spaziosi ed alti, grandi e numerose finestre ed anche ordine e pulizia”. Agli occhi dei maestri che arrivano lassù, dopo un lungo «sali e scendi» a piedi, ogni cosa appare al suo posto e sembra esserci un posto per ogni cosa.
“Quattro case umide e grigie” sembrano “quasi belle” in quella cornice di monti così ospitale. “Nelle Rotte deserte, nelle Rotte lontane” vive “gente buona e sincera” e i bambini sono vivaci, ma hanno “tanta volontà di far bene”, sono “pronti a qualunque sacrificio” e “a far dimenticare la lontananza, la malinconia” agli insegnanti costretti a fermarsi in loco.
Una maestra rievocata dal documentario col nome di Adele racconta che parecchi alunni, “bimbi dei boschi”, sono trovatelli dell’Ospizio di Savona allevati dai contadini della zona “dapprima per il mensile che viene loro corrisposto, poi per farli guardiani del loro gregge”, ma sono “amati e tenuti al pari dei veri figli”.
Sguardi poetici sulla realtà lasciano anche spazio a riflessioni didattiche e “scrupoli” di fine anno. Si riportano le osservazioni tratte dal giornale di classe di un insegnante del tempo, il maestro Rossi, in cui egli ammette di “aver sviluppato troppo in estensione il programma”, mentre avrebbe dovuto soffermarsi sulle nozioni essenziali. Tuttavia appare soddisfatto per essersi “preoccupato di formare dei caratteri volitivi, di educare l’animo degli alunni al sentimento d’amore per la patria fascista”.
I piccoli, a scuola di mattina e pomeriggio, imparano canti fascisti e la ginnastica è obbligatoria, anche se, con qualche stratagemma, questo dovere non è sempre rispettato per mancanza di spazi e materiali adeguati.
Teresa, Onorina ed Enrica raccontano la vita scolastica, l’aggregazione serale degli uomini a scuola, le marachelle dei bambini e le “strane abitudini” di maestri considerati vere autorità dai genitori e capaci di gesti di affetto e piccoli doni.
Durante le letture dei giornali di classe sullo schermo scorrono cartoline, foto di piccoli Balilla, libri di testo, esercizi, registri scolastici, quaderni, copertine con immagini di Mussolini, della “terra abissina”, scene di guerra, citazioni: una scuola votata al valore dell’obbedienza del fanciullo e a premiare il rispetto dei suoi doveri. Il maestro Rossi esplicita e declina questo concetto nel suo decalogo per le vacanze estive del 1939 per le classi seconda e terza.
Cortometraggio diffuso anche attraverso AulaWeb, portale e-learning dell’Università di Genova.
Intervistatore: Alessandro Marenco.
Intervistate: Enrica Scarrone; Onorina Scarrone; Teresa Scarrone.
Voci fuori campo: Alessandro Marenco e Valeria Caviglia.
Fonti
A. Marenco, D. Montino, Storie magistrali. Maestre e maestri tra Savona e la valle Bormida nella prima metà del Novecento, Millesimo, Comunità Montana “Alta Val Bormida”, 2008, pp. 170-187.