Scaturito dal clamore suscitato dalle denunce emerse sulla condizione delle “maestrine” a seguito del tragico suicidio nel 1886 di Italia Donati, maestra in un paesino della Toscana, ma anche dalle personali reminiscenze dell’autrice legate alla sua frequenza della Scuola Normale Femminile “Eleonora Pimentel Fonseca” di Napoli, il racconto narra con crudo realismo le vicende di un gruppo di allieve aspiranti alla carriera magistrale. Sia le convittrici sia le allieve esterne esprimono, infatti, svariate tipologie umane: ci sono la “simpatica dagli occhi neri” e la “bruttona sentimentale”, quella che piangeva senza averne voglia e l’altra col “panereccio” alla mano sinistra, la “miope col naso rincagnato”, la diligente, la tisica, la “vecchietta diciottenne”, le “sante”, le “zelanti”, le “spregiudicate”: tutte si barcamenano più per necessità che per vocazione all’interno dell’ottusa ritualità scolastica dell’istituto tra rassegnazione, precarietà esistenziale e miserie. Si tratta di bozzetti impietosi che ritraggono i caratteri delle tante maestre o aspiranti tali – di cui si narra anche nelle cronache e nelle indagini ministeriali del tempo – e della realtà degli insegnanti delle scuole normali, spesso del tutto privi di una formazione culturale adeguata. Il racconto si conclude con un’amara elencazione dei destini delle ragazze: una sposa un bancario e si ritira dall’insegnamento; un’altra fallisce il concorso e ripiega come commessa in un magazzino; la Pessenda finisce a far la fame come maestra rurale: muore di tifo nella solitudine più completa; Lidia Santaniello muore di bronchite a causa delle pessime condizioni igieniche in cui versa l’asilo nel quale lavora, mentre la Fiorillo si lascia morire per assideramento nel tragitto tra casa e scuola; Teresina Ponzio, che scrive poesie d’amore, viene destituita quando s’innamora di un noto uomo ammogliato; la Barraco, debole di nervi, si suicida, come pure la Scapolatiello. Chi insegna con profitto non avanza di carriera per mancanza di appoggi, mentre Isabella Diaz, “sempre orrenda”, si riscatta conseguendo risultati eccezionali nel lavoro di maestra sino ad acquisire una medaglia d’oro all’esposizione pedagogica.